Il nuovo presidente sudcoreano promette moderazione interna e pragmatismo internazionale, mentre donne e giovani che lo hanno eletto temono di essere delusi dalle sue nuove posizioni moderate.
Anatomia del voto
Lee Jae-myung, leader indiscusso del Partito Democratico di centro-sinistra, ha vinto le elezioni presidenziali in Corea del Sud con il 49,4% dei voti, battendo il suo rivale Kim Moon-soo, candidato del Partito del Potere del Popolo di destra, fermatosi al 41,1%. Si tratta di una vittoria netta, tanto più se si pensa che Lee alle precedenti presidenziali era stato superato dall’allora suo rivale, Yoon Seuk-yeol, di appena lo 0,7%. Ma non è la vittoria travolgente che si profilava ancora non molte settimane fa, quando Lee veniva dato oltre il 51% e Kim a poco più del 30%. Il terzo candidato, l’outsider di destra e “antifemminista” (misogino) Lee Jun-seok, ha ottenuto l’8,3% dei voti, senza sfondare come sperava, ma ottenendo un risultato che gli consente di rimanere sulla scena politica.
Dietro queste cifre complessive si nascondono però dettagli che dipingono un quadro molto più complesso. Innanzitutto, se si sommano i voti di Kim Moon-soo e di Lee Jun-seok, entrambi espressione di una destra profonda, si ottiene una percentuale del 49,5%, di pochissimo superiore a quella del 49,4 % di Lee Jae-myung: ciò indica chiaramente che il paese è ancora profondamente spaccato in due, come all’epoca delle elezioni del 2022 che avevano portato al potere Yoon Suk-yeol. Un aspetto che viene confermato da un’analisi geografica del voto: le mappe mostrano una Corea del Sud divisa con precisione quasi assoluta in due, con la parte occidentale (ivi compresa la capitale Seul) che ha votato in maggioranza per i democratici e quella orientale che ha visto vincente il PPP.
A ciò si aggiunge un altro particolare, particolarmente inquietante. L’outsider Lee Jun-seok, giunto terzo nei risultati complessivi, risulta chiaramente vincente tra gli under 30 con il 37,2% dei voti rispetto ad appena il 24,0% di Lee Jae-myung, che in questa fascia di età spopola invece tra le donne con il 58,1%. Anche nella categoria dei maschi tra i 30 e i 40 anni Lee Jun-seok ottiene una percentuale ben più alta di quella conseguita tra la popolazione nel suo complesso: il 25,8%. Si evidenzia così un’altra spaccatura, che tra i giovani uomini premia in misura larghissima il reazionario Lee Jun-seok.

Una campagna lampo in un paese diviso
Questi dati confermano come la campagna elettorale, durata appena sessanta giorni dopo la conferma dell’impeachment di Yoon ad aprile, si sia svolta in un clima di crescente polarizzazione sociale. Il divario generazionale e di genere emerso dalle urne riflette tensioni profonde che hanno attraversato tutto il dibattito pubblico: se Lee Jae-myung ha conquistato il voto femminile trasversalmente alle fasce d’età, l’exploit di Lee Jun-seok tra i giovani maschi segnala una frattura che va oltre le tradizionali divisioni politiche.
Paradossalmente, questa elezione, la prima dal 2007 in cui tutti e sette i candidati erano uomini, ha simboleggiato l’esclusione delle donne dalla rappresentanza politica proprio nel momento in cui erano state protagoniste assolute delle proteste che hanno portato alla caduta di Yoon. La cosiddetta “rivoluzione dei light stick” aveva visto le giovani donne sudcoreane guidare per 123 giorni consecutivi le manifestazioni antigovernative, trasformando le piazze di Seul in un mare di luci colorate tipiche dei concerti K-pop. Eppure questa mobilitazione femminile non si è tradotta né in rappresentanza politica né in un’agenda che affronti concretamente le loro priorità.
Il divario generazionale di genere ha raggiunto proporzioni senza precedenti. Questo fenomeno ha spinto entrambi i partiti principali a evitare sistematicamente le questioni femminili, considerate ormai politicamente tossiche, mentre l’ascesa di Lee Jun-seok ha portato alla ribalta il tema dell’antifemminismo come strategia elettorale vincente presso una significativa fetta dell’elettorato giovanile maschile. Il quarantenne (ex presidente del PPP, espulso per scandali sessuali), ha costruito la sua campagna sulla critica al “falso femminismo” e alla “mentalità ingiustificata di vittima” delle donne, conquistando il consenso di giovani uomini frustrati dalla precarietà economica. Questi sostenitori lo vedono come il portavoce delle loro rivendicazioni contro quella che percepiscono come discriminazione inversa, in una società dove l’ideologia patriarcale continua invece a prevalere.
L’enigma Lee Jae-myung: da rivoluzionario a pragmatico
Lee Jae-myung, l’uomo che nel 2022 prometteva di distruggere i conglomerati e introduceva il reddito universale di base oggi dialoga con i vertici delle principali associazioni imprenditoriali del paese, promettendo un clima favorevole agli affari e deregolamentazione. Questo cambiamento non è solo tattico ma riflette una comprensione più profonda delle dinamiche di potere. Lee, cresciuto in estrema povertà e rimasto invalido a 13 anni per un incidente in una fabbrica di guanti da baseball, ha mantenuto la sua immagine di self-made man, ma ha abbandonato la retorica anti-sistema. La sua nomina di Kim Hyun-jong, architetto conservatore del controverso accordo di libero scambio con gli Stati Uniti, come consigliere per la politica estera, simboleggia questa evoluzione.
Le svariate incriminazioni che lo hanno perseguitato durante la presidenza Yoon – dall’uso improprio di fondi pubblici ai presunti legami con la Corea del Nord – paradossalmente lo hanno rafforzato politicamente. L’attentato subito nel gennaio 2024, quando un assalitore gli ha tagliato la gola con un coltello, ha consolidato la sua immagine di vittima del deep state conservatore. Come osservano alcuni analisti, Lee è diventato un “combattente” in un sistema politico che premia la resistenza fisica e simbolica alle avversità.
I giovani traditi e le donne invisibili: la protesta che non trova rappresentanza
Il successo elettorale di Lee Jae-myung maschera un profondo senso di tradimento tra coloro che lo hanno portato al potere. Molti giovani che hanno sfidato il freddo invernale per mesi nelle piazze si sono dichiarati disgustati dalle opzioni a loro disposizione. Come confessa una ventenne che ha partecipato per la prima volta alle proteste, l’elezione rappresenta “una festa senza niente da mangiare”.
Le questioni che più preoccupano la generazione under-30, come la disoccupazione giovanile al 6,8%, la riforma del sistema pensionistico e la discriminazione di genere, sono rimaste ai margini del dibattito elettorale. La strategia di entrambi i partiti principali è stata quella di evitare argomenti divisivi, preferendo concentrarsi su vaghe promesse di crescita economica.
– Le donne: protagoniste della resistenza, assenti dalla politica
Per le donne, la situazione è ancora più paradossale. Nonostante abbiano guidato il movimento di resistenza democratica e nonostante la Corea del Sud detenga tra i paesi avanzati il record mondiale per il divario salariale di genere (31% in meno rispetto agli uomini), le loro rivendicazioni sono state sistematicamente ignorate. Durante le proteste anti-Yoon, le donne tra i 20 e i 40 anni, che rappresentano solo il 12% della popolazione totale, costituivano circa un terzo dei manifestanti. Il movimento femminile aveva chiare richieste: una legge anti-discriminazione, maggiore educazione alla parità di genere nelle scuole, e riforma della legislazione sullo stupro che attualmente si basa sulla violenza fisica anziché sul consenso. Dopo la caduta di Yoon, i gruppi per i diritti delle donne avevano chiesto che almeno la metà delle posizioni decisionali del nuovo governo fosse riservata alle donne. Invece, si sono ritrovate senza neppure una candidata presidente.
Lee Jae-myung non ha incluso i diritti delle donne tra le sue dieci priorità programmatiche, mentre il conservatore Kim Moon-soo ha proposto di estendere il servizio militare obbligatorio alle donne come forma di “uguaglianza”. Il termine “femminista” è diventato così politicamente tossico che molte donne evitano di usarlo nei profili online o temono di frequentare corsi di studi femminili per paura di essere prese di mira.
– I lavoratori invisibili: proteste aeree e disuguaglianza strutturale
Parallelamente alla mobilitazione femminile, un altro fenomeno ha caratterizzato il periodo pre-elettorale: le proteste aeree dei lavoratori subappaltati. La Corea del Sud ha una lunga tradizione di lavoratori disperati che portano le loro rivendicazioni “verso il cielo”, come osserva il New York Times in un suo reportage. Kim Hyoung-su, operaio 52enne dei cantieri navali Hanwha Ocean, vive da oltre 80 giorni in una tenda di tela cerata in cima a una torre per telecamere a circuito chiuso alta 30 metri nel centro di Seul. Kim fa parte dei 18.000 lavoratori in subappalto di Hanwha Ocean che, pur svolgendo le stesse mansioni dei dipendenti diretti, ricevono metà del loro stipendio. La sua protesta rientra in una strategia più ampia dei lavoratori precari, che rappresentano oltre il 38% della forza lavoro sudcoreana (8,4 milioni di persone nel 2024). Questi lavoratori rivendicano il diritto di negoziare direttamente con le grandi aziende invece che attraverso le aziende subappaltatrici.
Ko Jin-soo, chef 52enne licenziato durante la pandemia dopo 20 anni di servizio, protesta da più di 100 giorni su una struttura di controllo del traffico alta 10 metri. Questa forma di protesta ha precedenti significativi in Corea del Sud: nel 2003 un sindacalista si è suicidato dopo 129 giorni su una gru, nel 2011 una saldatrice è rimasta sulla stessa gru per 309 giorni ottenendo la riassunzione dei colleghi licenziati.
Durante le proteste anti-Yoon, questi lavoratori si sono uniti al movimento democratico portando con loro rivendicazioni di uguaglianza e di un mondo senza discriminazioni. Lee Jae-myung ha promesso di approvare una legge che darebbe maggiori diritti di contrattazione collettiva ai lavoratori precari, bloccata due volte da Yoon, ma i lavoratori lamentano che la proposta non copre settori come autotrasporti, consegne e riparazioni.
Le sfide economiche del nuovo corso
Lee Jae-myung eredita un’economia in stagnazione che negli ultimi mesi ha mostrato segnali preoccupanti. La contrazione del PIL di circa lo 0,3% nel primo trimestre 2025 e le previsioni di crescita riviste al ribasso sotto l’1% annuo delineano uno scenario di crisi. Il nuovo presidente si prepara a lanciare un secondo budget supplementare da 30 trilioni di won (circa 21,8 miliardi di dollari), concentrandosi sul sostegno alle piccole imprese, alle infrastrutture e ai programmi sociali. Ma le vere sfide economiche sono strutturali. La Corea del Sud ha il tasso di natalità più basso al mondo e una popolazione che invecchia rapidamente, con il 40% degli anziani sotto la soglia di povertà. Il sistema pensionistico nazionale rischia l’insolvenza, mentre Lee Jun-seok ha sfruttato elettoralmente questo tema trasformandolo in conflitto generazionale anziché affrontarlo come questione di classe.
L’industria dei semiconduttori, spina dorsale di un’economia molto sbilanciata sul versante delle esportazioni, ha visto la sua quota di mercato globale diminuire negli ultimi cinque anni nonostante i massicci sostegni governativi. Di fronte alla corsa mondiale all’intelligenza artificiale Lee ha promesso investimenti e deregolamentazione, ma dovrà competere con le analoghe politiche varate da Stati Uniti, Giappone e Cina.
La trappola geopolitica: tra Washington e Pechino
Sul fronte internazionale, Lee Jae-myung si trova ad affrontare un puzzle geopolitico sempre più complesso. La sua strategia di “diplomazia pragmatica” mira a mantenere l’alleanza con gli Stati Uniti come fondamento della sicurezza sudcoreana mentre cerca di riparare i rapporti con Cina e Corea del Nord, deterioratisi sotto Yoon. Tuttavia, le politiche dell’amministrazione Trump pongono sfide immediate e molto concrete.
La questione della “flessibilità strategica” delle forze americane in Corea del Sud riemerge con forza sotto la nuova amministrazione, riportando alla luce tensioni che avevano caratterizzato gli anni 2000. Washington vuole sempre più utilizzare i 28.500 soldati americani stanziati nel paese non solo per deterrere la Corea del Nord, ma anche come parte della strategia anti-cinese nel Pacifico, mentre Seul teme di essere trascinata in conflitti che non la riguardano direttamente.
Il Pentagono considera apertamente la possibilità di ridurre o riposizionare le truppe, come dimostra il recente trasferimento di una batteria di missili Patriot e di un battaglione dalla Corea del Sud in Medio Oriente, avvenuto senza consultazioni preventive con Seul. Il generale Xavier Brunson, comandante delle forze USA in Corea, ha sottolineato che le forze americane rappresentano “l’unica presenza militare USA sul continente asiatico a soli 400-600 km da Pechino”, e che il loro ruolo va oltre la deterrenza nordcoreana per influenzare i calcoli strategici di Cina e Russia.
Questa evoluzione riflette la nuova strategia di difesa del 2025 sviluppata sotto la guida di Elbridge Colby, che prioritizza il contenimento della Cina rispetto alla protezione degli alleati dalle minacce tradizionali. Un alto funzionario del Pentagono ha dichiarato: “Non escludiamo una revisione del numero di truppe in Corea. La nostra priorità è la deterrenza verso la Cina. Di conseguenza, occorre modernizzare l’alleanza con Seul e ricalibrare la presenza militare americana in linea con l’evoluzione della situazione nella regione”.
Il trattato di mutua difesa del 1953, che impegna entrambe le nazioni a fornire aiuto reciproco in caso di attacco armato esterno, viene ora reinterpretato in chiave più ampia. L’articolo III parla di “attacco armato nell’area del Pacifico contro una delle parti”, una formulazione che potenzialmente estende gli obblighi di difesa ben oltre la penisola coreana. Tuttavia, Seul ha sempre interpretato questi obblighi come limitati al territorio coreano e vede con preoccupazione ogni tentativo di espansione.
Di fronte a questi sviluppi, l’atteggiamento del governo sudcoreano mostra crescente nervosismo. Mentre il Ministero della Difesa nega ufficialmente che siano in corso cambiamenti nel ruolo delle forze USA o che Seul sia stata consultata sul proprio ruolo in potenziali conflitti indo-pacifici che coinvolgano la Cina, fonti militari confermano anonimamente i trasferimenti di equipaggiamenti e truppe. Il governo progressista di Lee dovrà navigare tra la pressione americana per maggiore “flessibilità” e le preoccupazioni domestiche relative a un possibile abbandono da parte di Washington o al coinvolgimento in conflitti regionali.
Il dilemma nordcoreano e la nuova Sunshine Policy
La proposta di Lee di rilanciare una versione aggiornata della Sunshine Policy si scontra con una realtà radicalmente trasformata rispetto ai primi anni 2000. La Corea del Nord di Kim Jong Un non è quella che si affacciava timidamente al dialogo durante le presidenze di Kim Dae-jung e Roh Moo-hyun, quando tale politica di apertura era stata lanciata. Pyongyang possiede ora materiale fissile sufficiente per 90 testate nucleari e ha sviluppato capacità navali significative.
Dal 2024, la Corea del Nord ha condotto un notevole numero di test di missili balistici, inclusi ICBM a combustibile solido e missili ipersonici. L’assistenza russa nella tecnologia missilistica ha sollevato ulteriori timori di una proliferazione di missili balistici lanciati da sottomarini (SLBM). Il segretario generale NATO Mark Rutte ha accusato la Russia di fornire alla Corea del Nord tecnologia missilistica avanzata in cambio del supporto militare in Ucraina, sottolineando il ruolo di Mosca nel rafforzamento dei programmi strategici di Pyongyang.
In questo contesto, Lee propone un approccio pragmatico e graduale: ripresa delle riunioni tra famiglie separate tra Nord e Sud, aiuti umanitari e scambi culturali, creazione di zone economiche speciali nella zona demilitarizzata per promuovere lo sviluppo reciproco. La sua strategia mette in primo piano l’importanza del coordinamento trilaterale con Washington e Tokyo, facendosi promotrice di garanzie di sicurezza mediante un dialogo parallelo e la riduzione delle esercitazioni provocatorie come Freedom Shield per favorire l’instaurazione di un clima di maggiore fiducia. Tuttavia, l’alleanza sempre più stretta tra Kim Jong Un e Vladimir Putin, suggellata dall’invio di truppe nordcoreane in Ucraina, complica ulteriormente l’equazione. La Corea del Nord ha abbandonato la retorica della riunificazione, dichiarando il Sud uno “stato ostile” nella sua costituzione del 2022, e ha approvato una legge sulla politica nucleare che autorizza attacchi preventivi automatici in determinate circostanze.
La strategia di Lee rischia di scontrarsi anche con le priorità americane. Trump ha lasciato intendere che sono possibili nuovi negoziati diretti con Kim Jong Un, affermando che la sua amministrazione è già in “comunicazione” con Pyongyang e descrivendo la Corea del Nord come una “grande nazione nucleare” guidata da un “ragazzo molto intelligente”. Questo linguaggio fa suonare campanelli d’allarme a Seul, poiché uno scenario in cui la Corea del Nord dovesse rinunciare ai missili intercontinentali mantenendo l’arsenale a corto raggio rappresenterebbe l’incubo strategico sudcoreano: ridurrebbe la minaccia agli Stati Uniti lasciando intatta quella alla Corea del Sud.

Il triangolo asiatico: il Giappone, la Cina e le nuove geometrie del potere
La già menzionata nomina di Kim Hyun-jong come consigliere per la politica estera segnala un approccio pragmatico di Lee verso il complesso triangolo delle relazioni regionali. Kim, che ha paragonato i futuri rapporti Corea-Giappone all’alleanza Satsuma-Choshu del XIX secolo che unì due domini rivali per rovesciare lo shogunato Tokugawa, rappresenta la volontà di superare le divisioni storiche per affrontare “nemici comuni” – una metafora che echeggia la strategia statunitense di contenimento della Cina.
Durante un incontro con i leader imprenditoriali sudcoreani, Lee ha espresso pieno accordo con la proposta del presidente di SK, Choi Tae-won, di stabilire un’alleanza economica simile all’Unione Europea con il Giappone. Durante la campagna elettorale Lee ha si è detto favorevole a misure per migliorare le relazioni Corea-Giappone, ivi incluso con la promozione di un accordo di libero scambio bilaterale dopo l’insediamento. Come ha spiegato un responsabile della sua campagna: “Gli Stati Uniti considerano le relazioni Corea-Giappone come un test discriminante per determinare da che parte sta la Corea… Ecco perché non abbiamo altra scelta se non promuovere ulteriormente la cooperazione con il Giappone privilegiandola rispetto a quella con la Cina”.
Questa apertura risponde alle pressioni americane per una maggiore cooperazione trilaterale Corea-Giappone-Usa, ma deve superare ostacoli significativi. Il Giappone ha approvato un budget della difesa record di 8,7 trilioni di yen (circa 55 miliardi di dollari) nel 2025 per rafforzare le proprie capacità di strike-back e difesa missilistica in risposta alle minacce della Corea del Nord e della Cina. Il concetto giapponese di un teatro che abbraccia i mari orientale e meridionale della Cina, la penisola coreana e le aree circostanti come singolo spazio per operazioni belliche è stato accolto con preoccupazione a Seul.
Le questioni storiche irrisolte, dai lavoratori forzati durante l’occupazione giapponese della prima metà del secolo scorso allo scarico delle acque contaminate di Fukushima, restano temi sensibili per l’opinione pubblica sudcoreana. Lee aveva criticato duramente l’accordo del 2023 tra Yoon e l’ex primo ministro giapponese Kishida come “il momento più umiliante e terribile nella storia della nostra diplomazia”, ma ora deve bilanciare queste posizioni con le necessità geopolitiche.
Per quanto riguarda la Cina, Lee cerca un delicato equilibrio che rifletta la complessità degli interessi sudcoreani. La sua posizione su Taiwan, “mantenere le distanze da una contingenza Cina-Taiwan se tale crisi dovesse verificarsi” perché “possiamo andare d’accordo sia con la Cina che con Taiwan”, riflette il tentativo di preservare i vitali legami economici con Pechino (principale partner commerciale della Corea del Sud) senza compromettere l’alleanza americana.
Questa strategia sta tuttavia diventando sempre più difficile da sostenere in un contesto di crescente competizione USA-Cina. La Corea del Sud nel 2024 ha registrato esportazioni record di 683 miliardi di dollari, guidate principalmente dai semiconduttori ma, come già menzionato, l’economia si è contratta di quasi lo 0,3% nel primo trimestre del 2025. L’agenzia di rating Fitch ha rivisto al ribasso le previsioni di crescita per la Corea del Sud nel 2025 all’1%.
Il futuro del sistema politico: riforme e instabilità
La vittoria di Lee Jae-myung apre scenari inediti per il sistema politico sudcoreano. Con il controllo sia della presidenza che dell’Assemblea Nazionale, il Partito Democratico dispone ora di un potere concentrato che non si vedeva da anni. Ciò solleva interrogativi su come il nuovo presidente intenda usare questa forza: se per ricucire le profonde fratture del paese, oppure per rafforzare ulteriormente il proprio potere politico. La riforma costituzionale, sostenuta da entrambi i principali candidati, rappresenta una priorità immediata. Il passaggio dall’attuale mandato unico di cinque anni a due mandati di quattro anni mirerebbe a rendere i presidenti più responsabili verso l’elettorato e a ridurre la tentazione di colpi di mano autoritari come quello tentato da Yoon. Tuttavia, come dimostra l’esperienza americana con Trump, anche i sistemi con mandati multipli non sono immuni dalla “sindrome del leader forte”.
La questione del controllo operativo in tempo di guerra (OPCON) potrebbe subire un’accelerazione sotto la presidenza Lee, che già durante la campagna del 2022 aveva sostenuto il trasferimento delle responsabilità militari dagli Stati Uniti alla Corea del Sud. Washington sembra guardare con favore a questo passaggio, che consentirebbe alle forze americane una maggiore “flessibilità strategica”. Tuttavia, il processo comporta una complessa ristrutturazione dei comandi militari e potrebbe sfociare in una configurazione parallela, anziché integrata, per evitare che le truppe statunitensi si trovino sotto comando sudcoreano.
Le contraddizioni del pragmatismo di centro-sinistra
Il mandato di Lee Jae-myung inizia sotto il segno di una contraddizione fondamentale. Da un lato, rappresenta la rivincita di una base progressista che ha resistito per mesi al tentativo autoritario di Yoon; dall’altro, il suo programma moderato e le sue aperture verso i capitalisti e gli alleati tradizionali rischiano di deludere proprio coloro che lo hanno portato al potere.
La strategia del “conservatorismo progressista” che Lee ha adottato riflette una comprensione utilitaristica dei rapporti di forza, ma solleva dubbi sulla sua capacità di affrontare le vere cause del malcontento sociale. Le questioni strutturali, dall’ineguaglianza di genere al precariato giovanile, dalla crisi demografica alla concentrazione della ricchezza, richiedono risposte coraggiose che il nuovo presidente sembra riluttante a fornire.
Il movimento dei “calabroni” (i giovani attivisti che hanno guidato le proteste) ha già annunciato che continuerà a mobilitarsi se i politici ignoreranno le sue rivendicazioni. La loro alleanza con i sindacati e i movimenti sociali rappresenta una forza potenzialmente destabilizzante per Lee, se non riuscirà a tradurre le promesse elettorali in cambiamenti concreti.
Verso un nuovo equilibrio regionale
La presidenza Lee potrebbe segnare una svolta nelle dinamiche geopolitiche dell’Asia orientale. La sua vittoria coincide con un momento di profondo riassestamento degli equilibri regionali: la Cina rafforza la propria presenza marittima nel Mar Giallo, il Giappone aumenta il budget della difesa a livelli record, la Corea del Nord consolida l’alleanza con la Russia, e gli Stati Uniti cercano di riorganizzare le proprie alleanze in funzione anti-cinese. In questo contesto, la strategia di “hedging” di Lee, consistente nel mantenere l’alleanza americana rafforzando i rapporti economici con la Cina, appare sempre più difficile da sostenere. La pressione americana per un maggiore allineamento e quella cinese per evitare un eccessivo coinvolgimento nelle strategie di contenimento creeranno tensioni crescenti che metteranno alla prova le capacità diplomatiche del nuovo presidente.
Fonti utilizzate: Korea Herald, Korea Times, Workers’ Solidarity, Bloomberg, New York Times, Financial Times, Foreign Policy, Diplomat, , Modern Diplomacy, Asia Times, Global Voices, Les Echos, Le Monde, Nikkei Asia, Eurasia Review
Andrea Ferrario è un blogger italiano di politica internazionale, con un focus particolare sull’Asia Orientale. Ha collaborato con il settimanale Internazionale ed è co-curatore del sito Crisi Globale.
Questo articolo è stato pubblicato originariamente su Substack dell’autore.