Nazionalisti, euroscettici, anti-NATO, cappellini MAGA, sostegno a Trump (ma non a Putin) e a Călin Georgescu. Cosa pensano i sostenitori dell’estrema destra e sovranisti in Romania?

Un cartellone luminoso con il volto du Călin Georgescu (politico di estrema destra romeno) accoglie i clienti di Buchetino, un negozio di fiori aperto 24 ore su 24 a Bucarest.
“L’amore è un’attività notturna”, scherza Stefan Surubariu, il proprietario. All’interno ci sono scatole di rose rosse e orsacchiotti; una maglietta con l’immagine del momento in cui un proiettile ha colpito l’orecchio di Trump durante un comizio; sciarpe di squadre di calcio e una macchinetta del caffè con l’immagine di Trump con l’indice puntato in avanti.
“Vuoi un caffè Trump o sei un fan di Ursula?” dice il proprietario, riferendosi a Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione europea.
Con in testa un cappellino rosso con la scritta “Make America Great Again” (MAGA), l’imprenditore dice che quando Georgescu ha vinto il primo turno delle elezioni presidenziali – annullate lo scorso dicembre – ha invitato dal suo account su TikTok a esporre nei negozi foto di Georgescu. “Se vai in Turchia, vedi ovunque la faccia di Atatürk, il riformatore della Turchia moderna”. È così che Surubariudescrive Georgescu, il riformatore del paese, “l’Atatürk della Romania”. Perché in 35 anni, dalla rivoluzione rumena, “nessuno ha più issato una bandiera”.

Inoltre Surubariu sostiene che Georgescu “ha detto cose che noi rumeni non avevamo mai sentito da un politico. Parla di fede, parla di dignità, parla di sovranità, parla di patriottismo”, elenca. “La cultura del patriottismo si è persa, così come l’usanza di regalare fiori”, aggiunge.
Surubariu è uno delle migliaia di rumeni che si definiscono “sovranisti”, in contrapposizione a quelli che chiamano “globalisti”, cioè i sostenitori delle politiche dell’Unione europea: sono nazionalisti, euroscettici e anti-Nato.
Oggi in Romania ci sono tre partiti populisti di estrema destra che si definiscono tali: l’Alleanza per l’Unione dei romeni (AUR), S.O.S. e il Partito della Gioventù (POT), come spiega l’analista Radu Magdin, della società di consulenza Smartlink.
Secondo Magdin la vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti “ha incoraggiato diversi politici del panorama tradizionale ad adottare le etichette di ‘patrioti’ o ‘sovranisti’, tra cui l’ex primo ministro socialdemocratico Victor Ponta”.
L’Ufficio elettorale centrale della Romania ha deciso di respingere la candidatura di Călin Georgescu alle elezioni presidenziali del 4 maggio: il candidato indipendente filorusso ha vinto a sorpresa il primo turno delle elezioni di novembre, e il secondo turno elettorale è stato annullato quasi all’ultimo momento. La Corte costituzionale romena ha imputato la sua decisione a interferenze nel processo e nella campagna elettorali: attacchi informatici e attività di disinformazione tramite i social network.
Più di due milioni di rumeni – il 22,94 per cento – hanno votato per Georgescu al primo turno del 24 novembre. Prima di questo risultato, i sondaggi annunciavano il passaggio al secondo turno di un altro sovranista, George Simion, di AUR.
In precedenza, a ottobre, era stata invalidata anche la candidatura della controversa eurodeputata di estrema destra Diana Șoșoacă di S.O.S., famosa per essersi presentata al parlamento europeo con una museruola da cane e un’immagine di Cristo. Il Tribunale costituzionale ha quindi ritenuto che “con i suoi ripetuti discorsi, Diana Iovanovici-Şoşoacă esorta ad alterare le basi democratiche dello stato e violare l’ordine costituzionale”.
Magdin spiega che, sebbene le retoriche di Șoșoacă e Georgescu coincidano sotto molti aspetti ed entrambi siano stati molto critici nei confronti dell’Ue e della Nato e abbiano espresso sentimenti filo-russi, hanno stili e personalità politiche diverse: “Georgescu è più misurato e strategico, mentre Șoșoacă è diretta e provocatoria”.
La Romania, colonia dell’Occidente?
Sebbene l’etichetta di “sovranista” non fosse centrale nella politica romena, Magdin afferma che i politici di estrema destra hanno storicamente utilizzato una retorica nazionalista e intransigente, soprattutto negli anni Novanta e all’inizio del Duemila. L’esempio più eclatante è quello di Corneliu Vadim Tudor, che nel 2000 è arrivato al ballottaggio presidenziale e il cui partito ha ottenuto quasi un quinto dei voti alle elezioni legislative.
L’ascesa delle forze della destra radicale in Romania fa parte di una tendenza europea più ampia, a cui il paese ha aderito all’inizio degli anni venti del 2000. Magdin spiega che diversi fattori hanno contribuito alla loro crescita. In primo luogo, c’è il disincanto nei confronti dei partiti tradizionali, e in particolare dopo che il Partito Socialdemocratico (PSD) e il Partito Nazionale Liberale (PNL) hanno formato una coalizione nel 2021.
A ciò si è aggiunto il malcontento della popolazione per la gestione della pandemia di Covid. Per effetto delle campagne social novax, la Romania (42,5 per cento) e la Bulgaria (30,5 per cento) sono i due paesi dell’Ue che hanno fatto registrare la copertura vaccinale più bassa contro il coronavirus, secondo i dati del Centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie. Sono cifre che contrastano con la media Ue del 75,6 per cento, e le punte dell’87,4 per cento in Spagna e del 96 per cento in Portogallo.
Il malcontento deriva anche dalle disuguaglianze sociali, “nonostante la forte crescita economica generale”, puntualizza Magdin. Sulle strade romene circolano più di 8.000 Tesla, alcune delle quali costano più di 125mila euro, ma un romeno su sei non ha il bagno in casa. I cittadini lamentano la scarsa qualità dei servizi pubblici, una generale frustrazione nei confronti della governance e “il crescente scetticismo verso l’integrazione europea e la globalizzazione, con narrazioni che dipingono la Romania come una colonia economica dell’Occidente”.
A questo cocktail si aggiungono la forte eredità storica dei movimenti di estrema destra, in particolare nel periodo tra le due guerre, e i social network. Circa 9 milioni di romeni, quasi la metà della popolazione, usano TikTok.
Il giornale investigativo Snoop, associato a Hotnews, ha intervistato diversi sostenitori di Georgescu per conoscere le motivazioni del loro voto alle ultime elezioni. Dopo le interviste, sono state identificate 12 parole chiave, ripetute frequentemente: 6 venivano usate in modo positivo – spiritualità, salute, casa, amore, calma, diplomatico – e 6 avevano connotazioni negative – Ucraina, USR, LGBT/gay/omosessuale, PSD, sionista/ebreo e vaccino/covid.
“Non ho problemi con gli altri orientamenti sessuali, ma non sono d’accordo con la loro promozione aggressiva”, sostiene Surubariu. “Abbiamo perso molto della nostra essenza, non abbiamo più la purezza spirituale di un tempo, le nostre tradizioni stanno scomparendo”, continua. E dice che “tutto questo accade a causa della politica dell’Unione europea, a causa della signora Ursula, che dimentica che siamo popoli con culture diverse, con persone diverse, con credenze diverse, con storie diverse”. “Abbiamo bisogno di un cambiamento e di distensione: distensione fiscale, distensione sociale, distensione in tutti i sensi”, aggiunge.
Sovranisti contro trumpisti
Make Romania Great Again era lo slogan su un cartello di un manifestante durante la grande marcia indetta dall’AUR nel centro di Bucarest il 1 marzo scorso. Per Magdin, molte di queste forze si sono schierate con Donald Trump e si sono ispirate al suo successo elettorale. I punti di contatto non mancano.
I sovranisti romeni, per esempio, criticano spesso George Soros, la cultura progressista, i cosiddetti “sessomarxisti”, i diritti LGBT, e rivendicano invece l’importanza del patriottismo e di un’economia che dia priorità al capitale nazionale.
Tuttavia, continua Magdin, ci sono differenze importanti, come il fatto che, “mentre Trump sostiene una posizione autarchica (‘gli Stati Uniti prima di tutto’), la Romania dipende in larga misura dai fondi dell’Ue e dagli investimenti esteri, il che rende meno praticabile una forte politica economica nazionalista”.
Dall’ingresso nell’Unione europea, la Romania ha ricevuto oltre 100 miliardi di euro di fondi comunitari, secondo i dati del ministro per gli Investimenti e i Progetti europei, Marcel Boloș. La maggior parte di questi fondi è stata investita in infrastrutture e sviluppo.
Per quanto riguarda l’atteggiamento filorusso, secondo Magdin questa posizione non ha molto seguito in Romania, “dove la sfiducia nei confronti della Russia è estremamente alta: i sondaggi mostrano che solo il 5 per cento dei romeni è filorusso”, afferma. “Non sono pro-Putin, sono pro-Trump, ma, logicamente, perché accusare qualcuno che non fa alcun male?”, puntualizza Surubariu.
Secondo lui, “Putin voleva solo recuperare alcuni territori dove vivevano e vivono cittadini russi”. Dice che Donald Trump tratta l’America come se fosse la sua azienda. “In un’azienda, se i dipendenti sono ben pagati e puntuali, automaticamente ci sono profitti, c’è prosperità”.
Per quanto riguarda le visioni euroscettiche di questi partiti, Surubariu ironizza: “La Romania non può uscire dall’Europa perché il suo territorio, la sua estensione territoriale, è lì da quando Dio ha creato il mondo”. E aggiunge: “L’Unione europea è arrivata e ci ha trovati in Europa. Né Georgescu, né Trump, né Putin, nessuno può prendere la Romania e spostarla di 20mila km accanto all’Australia o in mezzo all’oceano”.
Prima di salutarci, Surubariu ci chiede di fargli una foto con il tradizionale berretto di lana rumeno. Alcuni sostenitori di Georgescu partecipano alle proteste vestiti con pelli di pecora o con l’antico costume dacico, “come durante l’assalto al Congresso degli Stati Uniti”, puntualizza il fioraio.
La Dacia era un antico regno corrispondente grossomodo all’attuale Romania, noto per la sua resistenza contro l’Impero romano.
Il fenomeno di coloro che in Europa si autodefiniscono “sovranisti”, con visioni euroscettiche, non è esclusivo della Romania. Vsquare ha rivelato che forze illiberali di Polonia e Ungheria avrebbero inviato una serie di proposte al think tank più influente dell’amministrazione Trump, la Heritage Foundation, per dare forma a quello che secondo loro dovrebbe essere il futuro dell’Unione europea: queste proposte includerebbero lo smantellamento delle istituzioni chiave dell’Uee il cambio di nome dell’intera regione, da Unione europea a Comunità Europea delle Nazioni.
Lola García-Ajofrín è una giornalista spagnola con sede a Madrid. Attualmente lavora per El Confidencial e per il progetto multimediale polacco Outriders. In passato ha collaborato con diversi media, tra cui El País, El Mundo, La Información e Telecinco.
Traduzione: Laura Bortoluzzi.
Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta su Voxeurop.