Trump, Putin e la guerra in Ucraina: il risveglio dell’Europa di fronte all’ascesa del fascismo globale, di Hanna Perekhoda – 23 febbraio 2025

Nelle ultime settimane, e negli ultimi giorni in particolare, il panorama politico europeo sembra impantanato, in uno stato di paralisi. Eppure Trump, Putin e altri leader di estrema destra non hanno mai fatto mistero delle loro ambizioni, anzi le hanno annunciate per anni, senza finzione. Va detto chiaramente: il loro è un progetto fascista.

Negli Stati Uniti sta prendendo forma un regime fascista. In Russia questo regime è in vigore da tre anni – una realtà che molti hanno preferito negare, aggrappandosi all’illusione di un ritorno tranquillo alla normalità, a uno status quo solo temporaneamente interrotto dalla guerra contro l’Ucraina.

È questo, lo stesso status quo che ha permesso all’Unione europea – Germania in testa – di continuare a importare idrocarburi russi a basso costo e di esportare prodotti di fascia alta in Cina e negli Stati Uniti. Un mondo così confortevole da rendere fastidiosa l’ostinata resistenza degli ucraini. Se gli ucraini e le ucraine  avessero accettato di vivere sotto l’occupazione di un regime che stupra, uccide e tortura su vasta scala, magari  avremmo potuto continuare a prosperare all’infinito… Un’illusione tanto ingenua quanto cinica.

Mentre l’Europa occidentale ha accantonato gli investimenti nella difesa, la Russia ha  invece utilizzato i proventi energetici per modernizzare il suo apparato militare. L’annessione della Crimea nel 2014 e le numerose operazioni “di influenza” in tutta Europa – compresi crimini e assassinii – sono rimaste pressoché impunite. Nel 2022, quando la Russia ha invaso l’Ucraina, è crollato il sistema europeo di prosperità e stabilità, fondato sulla corruzione morale.

I  leader europei erano ben  aggrappati a questa illusione, e hanno ridotto la loro  possibilità di imporre sanzioni rapide ed efficaci contro la Russia, ritardando gli aiuti all’Ucraina in un momento critico, proprio quando esisteva una maggiore possibilità per modificare gli equilibri di potere sul campo di battaglia. Questa esitazione ha permesso alla Russia di conquistare territori e di rafforzarsi, rendendo le controffensive dell’Ucraina molto più costose.

Dopo aver concentrato tutti i nostri sforzi per non vedere la realtà, ci troviamo ora storditi da una situazione nella quale tutti i nostri punti di riferimento, nel giro di poche settimane, sono crollati nel giro. Il discorso di J.D. Vance a Monaco ne è un esempio lampante.

J.D. Vance è stato chiaro: il nemico per gli Stati Uniti non è Vladimir Putin, con il quale la nuova amministrazione americana condivide molte affinità ideologiche. Il vero nemico è l’Europa, e con lei tutti coloro che si oppongono all’ordine che Trump vuole imporre. Lo stesso uomo che sostiene la costruzione di muri per tenere fuori i migranti vuole anche vietare le “barriere” contro l’ estrema destra in Europa. 

Come ha giustamente scritto il Guardian, Vance ha chiamato a raccolta le forze populiste di destra affinché prendano il potere in tutta Europa, con la promessa che il “nuovo sceriffo in città” le avrebbe aiutate nel progetto. Nulla deve ostacolare la loro marcia trionfale.

Questa barriera potrebbe crollare da un momento all’altro, mentre l’Europa continua a guardare, annuendo passivamente, senza vedere che quelle  acque torbide si stanno già infiltrando dall’interno. 

La repressione dei migranti, l’istituzionalizzazione della misoginia e dell’omofobia, la negazione del cambiamento climatico, lo sfruttamento spietato delle persone e della natura, la liquidazione dell’Ucraina, la deportazione dei palestinesi: questi sono i pilastri del nuovo ordine emergente che sta già prendendo forma. Ormai dovrebbe essere chiaro come il sole: abbandonare le vittime di aggressioni militari – proprio come abbiamo fatto con i palestinesi e ci stiamo preparando a fare con gli ucraini – equivale a dare agli autocrati la possibilità di imporre il loro dominio con la forza bruta.

Si tratta di un’equazione semplice che qualsiasi persona razionale dovrebbe essere in grado di comprendere. È ancora più sconcertante, quindi, che le azioni di Donald Trump e della sua amministrazione abbiano apparentemente scioccato gli europei. Dopo tutto, egli ha ripetutamente chiarito che questo è esattamente il modo in intende agire. Ad essere sorprendente non è Trump, ma piuttosto la mancanza di preparazione e di lungimiranza strategica degli europei.

Le dichiarazioni che sottolineano l’urgente necessità per i paesi europei di aumentare radicalmente e rapidamente le spese militari sono, purtroppo, corrette. Secondo il Financial Times, la spesa militare della Russia ha ormai superato i bilanci della difesa di tutti i paesi europei. Entro il 2025, Mosca destinerà ancora più fondi alla guerra: il 7,5 per cento del Pil, pari a quasi il 40 per cento del bilancio nazionale.

Questo è uno dei vantaggi che i regimi autoritari hanno rispetto alle democrazie: poter mobilitare rapidamente risorse umane ed economiche per la guerra, imponendo misure coercitive senza temere un’opposizione di massa. Uno Stato autoritario, la cui popolazione è stata imbevuta di un’ideologia tardo-capitalista di cinismo e individualismo, come nel caso della Russia, può spingere questa logica ancora più lontano. A questo si aggiunge il fatto che  l’Europa sembra non vedere un’altra realtà fondamentale dei regimi autoritari: una volta che un autocrate intraprende una guerra di espansione, non può semplicemente fermarsi. La sopravvivenza del suo regime diventa indissolubilmente legata alla guerra, che alla fine consuma l’intera struttura del potere.

I leader europei, come Emmanuel Macron, che ora parlano della necessità reale di rafforzare la difesa dell’Europa, sono gli stessi che hanno preparato la strada a questa crisi.  Come? Condannano gli abusi di potere sulla scena internazionale, ma tollerano la logica darwiniana all’interno delle loro società, sostenendo un sistema in cui i più potenti continuano a dominare i più vulnerabili. Questa contraddizione indebolisce la loro credibilità e alimenta la crescente sfiducia nelle istituzioni democratiche. Una simile incoerenza crea un terreno fertile per l’ascesa dei movimenti fascisti, che capitalizzano le fratture per mobilitare un elettorato disilluso.

Le crescenti disuguaglianze, il sempre più forte senso di ingiustizia e la percezione di un’élite politica scollegata dalla realtà indeboliscono la loro legittimità. Una società che si sente abbandonata o ignorata faticherà a comprendere e  a sostenere gli impegni internazionali, anche quando questi rispecchiano principi fondamentali, come la difesa dei diritti e della sovranità.

I populisti sfruttano questo malcontento alimentando l’idea che i governi stiano sacrificando gli interessi nazionali a favore di cause apparentemente lontane, come il sostegno all’Ucraina. Personaggi politici come Jean-Luc Mélenchon in Francia e Sahra Wagenknecht in Germania denunciano le ingiustizie sociali e, al tempo stesso, abbracciato la legge del più forte sulla scena internazionale, giustificando le violazioni commesse da regimi autoritari come la Russia. 

Il loro posizionamento opportunistico, guidato da calcoli elettorali, priva la loro retorica di qualsiasi credibilità. Al contrario: è impossibile separare la giustizia sociale interna dalle politiche internazionali di un paese. Una società che tollera o addirittura incoraggia il cinismo e il dominio sulla scena globale inevitabilmente normalizzerà queste stesse dinamiche nelle sue relazioni sociali interne – e viceversa.

Una società più giusta e coesa è meglio attrezzata per sostenere gli impegni internazionali e i bilanci della difesa, la cui necessità è ormai innegabile. Politiche di ridistribuzione efficaci e urgenti sono essenziali per ripristinare la fiducia dei cittadini. Pertanto, l’assistenza che i paesi europei possono fornire all’Ucraina non si limita agli aiuti militari o economici, ma dipende anche dalla risoluzione della propria crisi interna di legittimità. 

Tuttavia, va ripetuto ancora una volta: l’aiuto che conta davvero per ogni ucraino è quello militare. È la condizione più importante per la sopravvivenza dell’Ucraina come società e per ogni suo cittadino.

Molti, soprattutto in Germania, esprimono preoccupazione per l’influenza dell’estrema destra in Ucraina. Eppure, nulla alimenta l’estremismo più di un ingiusto “accordo di pace” imposto a una vittima di aggressione contro la sua volontà. Nessuna situazione è più radicalizzante di un’occupazione militare unita a un’oppressione sistematica e brutale. 

Se l’Ucraina sarà costretta ad accettare una pace dettata dalla Russia, la frustrazione e l’ingiustizia accumulate alimenteranno i movimenti radicali, che prospereranno a spese delle forze moderate e progressiste. La storia è piena di esempi di accordi di pace imposti che hanno dato vita a mostri, a organizzazioni terroristiche nate dalla disperazione e dal risentimento.

Trump ha dichiarato apertamente la volontà di negoziare senza alcun riguardo né per il governo ucraino, né  il suo popolo. Così facendo, si allinea completamente all’agenda del Cremlino e legittima retroattivamente l’aggressione russa. Peggio ancora, rifiutandosi di chiamare questa invasione per quello che è veramente – una guerra di aggressione illegale, accompagnata da gravi violazioni del diritto internazionale e da documentati crimini di guerra – invia un messaggio profondamente pericoloso. Rafforza l’idea che tali politiche espansionistiche possano essere non solo tollerate, ma addirittura premiate. Taiwan, Filippine, Stati Baltici, Moldova e Armenia devono ora prepararsi ad essere i prossimi della lista. In questo contesto, è imperativo assumere una posizione ferma e inequivocabile: nessun negoziato può avvenire a spese del popolo ucraino, e ancor meno senza il suo consenso.

Il tempo per piangere è finito, ora è il momento di agire. Perché un giorno, quando la polvere si poserà e la nebbia si alzerà, ci chiederemo inevitabilmente e con orrore: come abbiamo potuto essere così passivi, così ciechi, così indifferenti di fronte a questo disastro?

Hanna Perekhoda è una storica, ricercatrice dell’Università di Losanna (Istituto di studi politici e Centro di storia internazionale e studi politici sulla globalizzazione) e si è specializzata sul nazionalismo nel contesto della storia dell’Impero russo e dell’Unione sovietica. La ricerca di Perekhoda esamina le strategie politiche dei bolscevichi in Ucraina tra il 1917 e gli anni venti. Perekhoda si occupa anche dello sviluppo, dal punto di vista storico dell’immaginario politico russo, con particolare attenzione al ruolo dell’Ucraina nell’ideologia di stato russa. Perekhoda fa anche parte  di Sotsialnyi Rukh (“Movimento sociale”), un gruppo politico di sinistra fondato da militanti e sindacalisti sulla scia di Euromaidan, la rivolta del 2013-14 che ha portato alla destituzione del presidente filorusso Viktor Janukovyč.

Questo articolo è apparsa originariamente su Valigia Blu.

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